martedì 27 settembre 2011

Non è un Paese per giovani, nonostante la Meloni

“La Camera approva”: risuonano queste parole nell’aula di Montecitorio al termine della votazione finale sul ddl Meloni, la legge che il ministro delle politiche giovanili ha portato in Parlamento. Cuore della sua proposta, l’abbassamento della soglia di età per l’elettorato passivo di Camera e Senato: 18 anni (anziché 25) per la prima e 25 (in luogo dei 40 fissati dalla Costituzione) per il secondo. La bionda ministra esulta, il provvedimento è passato, ora anche i neodiciottenni potranno essere eletti a Montecitorio. Fantascienza? Chi lo può dire, portare un po’ di freschezza in quelle vetuste aule, un po’ di gioventù su quegli scranni non sarebbe una cattiva idea, e forse c’è davvero qualche partito che candiderebbe volentieri un teenager.
Ipotesi future o quantomeno futuribili. Nel frattempo emergono molte valutazioni contrastanti sulla reale utilità della legge. La domanda è: era davvero necessario abbassare l’età per essere eletti ai massimi consessi rappresentativi per dimostrare che oggi l’Italia è un Paese per giovani? Guardiamo la vita di tutti i giorni, il mondo del lavoro per esempio: c’è reale possibilità di accesso spendendo i titoli conseguiti, oppure i giovani trovano mille difficoltà prima di stabilizzarsi economicamente e rendersi indipendenti da papà e mamma? Il Parlamento, composto da questi lungimiranti statisti (sic) ha mai immaginato una legislazione favorevole all’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro che non fosse attraverso contratti volatili e quasi umilianti? Sono state mai messe in campo misure per il ricambio generazionale nelle aziende, nel settore pubblico come in quello privato, nella politica, che è il loro campo? La risposta a tutte queste domande è una sola: no. Giovani neolaureati con fior di punteggi trascorrono i loro giorni a inviare curriculum a destra e a manca, salvo poi accontentarsi del lavoro che non avrebbero mai desiderato. I diplomati si sono arresi prima: in un Paese dove chi ha titoli più rilevanti è a spasso, un impiego remunerativo e rispondente a certe esigenze è un lusso.
Questa è l’amara realtà, riassunta in una battuta infelice ma efficace: l’Italia non è un Paese per giovani. E non lo è nonostante la trovata di Giorgia Meloni, energica titolare delle politiche giovanili, non abbastanza da trovare soluzioni strutturali alla questione generazionale che investe il Paese.
Il Parlamento si è messo la coscienza a posto. Ci chiedevate di fare di più per i giovani? Eccovi accontentati: ora anche i ventenni possono diventare senatori. Saremo esigenti, signori parlamentari, ma non basta. Senza contare la presa in giro. La politica in Italia è in mano agli stessi da anni, in qualche caso da decenni. C’è mai stato qualcuno che abbia investito sui giovani, favorendo questo famoso “ricambio generazionale” almeno in politica? Il discorso è semplice: il Paese chiede rinnovamento, perché non cominciare dalle mie liste, dovrebbe ragionare un politico. Ma lo si è mai fatto? Si nota un interesse a chiudere dentro strette mura elitarie quella che dovrebbe essere il vivaio di una buona gioventù, la gioventù che si interessa dei problemi del Paese in cui vive, che vorrebbe partecipare alle decisioni e intervenire nell’elaborazione di prospettive per il futuro. Oggi più che mai questa chiusura si è accentuata, anche a partire dagli stessi consigli comunali, il punto di partenza per eccellenza del cursus honorum di un giovane impegnato in politica.
Già, il consiglio comunale. La bionda ministra non poteva pensare a quello? Perché preferire la via demagogica a quella ragionata, meditata? Troppi sono i casi di “raccomandati” che varcano le soglie di aule importanti senza aver mai fatto nulla prima, senza mai essersi impegnati, senza mai aver provato cosa significa amministrare una comunità e risolvere i piccoli problemi quotidiani della gente.  I vari Bossi, Minetti e tanti “nominati”, pardon eletti, per grazia ricevuta del segretario che confeziona le liste non ci hanno insegnato nulla?
Questo provvedimento è da bocciare: per la buona politica si deve partire dal basso, dove l’impegno è per forza di cose disinteressato. Una volta c’era la gavetta, oggi si diventa deputati per altri meriti.
Saremo grilli parlanti, ma la Meloni dovrebbe interessarsi di più a studiare misure per favorire l’occupazione giovanile, per dare la possibilità ai giovani di costruirsi una famiglia e affrancarsi dai genitori, per ridare un po’ di dignità e di valore allo studio. Insomma, investire sul futuro. Non tutti i giovani italiani vedono il posto in Parlamento come un lavoro da fare dopo il liceo, anche se alcuni “figli di” il futuro in politica come professione ce l’hanno già assicurato, e altri seguiranno i consigli del saggio Berlusconi che alla ragazza ansiosa per il suo futuro rispose: “Sposati un uomo ricco”.

Stefano Barbero

L'articolo è anche presente sul sito di Pier Ferdinando Casini, raggiungibile al link:

martedì 20 settembre 2011

Barosini e la corsa a Palazzo Rosso: l'intervista ad AlessandriaNews


Barosini: “Sarò il sindaco della gente”

I fallimenti della giunta Fabbio, ma anche Rita Rossa come “ritorno al passato”. Il leader Udc, presidente del consiglio provinciale, è scatenato, e si prepara ad una lunga maratona: l’obiettivo è la conquista di Palazzo Rosso
Gianni Barosini è “un estremista di centro”, come lui stesso si definiva fino a poco tempo fa sul suo profilo di Facebook. Dove il coordinatore provinciale dell’Udc di Alessandria conta già quasi 5 mila amici, a riprova non solo della sua popolarità, ma dell’uso costante ed attento del “mezzo” Internet. Lo incontriamo nel suo ufficio di Presidenza del Consiglio Provinciale. E’ scatenato ed entusiasta, un fiume in piena, che punta diritto su Palazzo Rosso.

Presidente, alle comunali di maggio lei sarà il candidato di tutto il terzo polo?
Il terzo polo è un cantiere aperto, che spero possa dare all’Italia una vera opportunità di cambiamento, moderata ma rigorosa. Ad oggi però non c’è ancora, per Palazzo Rosso, un accordo strutturato con Fli e Api, che spero possa naturalmente concretizzarsi. Io sono il candidato dell’Udc, perché il partito me lo ha chiesto, e perché ci credo davvero: è la logica conseguenza di un cammino di alternativa, per questa città. Non le sembra ce ne sia davvero bisogno?

Ricordiamolo, questo percorso…
Inutile girarci attorno: noi in Fabbio abbiamo creduto, e lo abbiamo sostenuto contro la Scagni. Ma ci ha profondamente deluso, e ben presto ci siamo accorti dove stava andando, con quali scelte e in quale pessima compagnia. Ci siamo sfilati, coerentemente. Anche perché nel frattempo siamo diventati sempre più critici nei confronti di Berlusconi e dei suoi bluff: esattamente come tanti italiani moderati, e amareggiati. Nel 2009 abbiamo avuto un ruolo decisivo nella vittoria di Filippi e del centro sinistra in Provincia, e crediamo che la sua giunta stia operando bene. Le dico subito, in riferimento al balletto indecoroso e un po’ umiliante delle settimane scorse riguardo alle manovre del governo, che io sono favorevole ad un serio accorpamento delle Province, ma cancellarle mi sembra una mossa azzardata, propagandistica. Pochi risparmi, perché comunque le funzioni e i dipendenti andrebbero naturalmente mantenuti, e probabilmente tanti disagi, per tutti.


sabato 10 settembre 2011

Cambiare? I giovani ne hanno la forza

Sta per chiudersi l’edizione 2011 della festa nazionale dell’UDC, un evento che forse definire festa è un po’ riduttivo, così pieno di incontri e dibattiti, di riflessioni e scambi di idee. Ma a pensarci bene perché non dovremmo festeggiare? Il parco Fucoli è stracolmo di gente entusiasta che ha ancora voglia di credere nelle qualità di una buona politica che nonostante i cattivi esempi (purtroppo la maggioranza) riesce ancora a far parlare bene della categoria.
Potrebbero bollarci tutti per ingenui, o illusi, ma la verità è un’altra: non ci stiamo ad arrenderci allo sconforto e non ci stiamo ad accettare in modo rassegnato lo stato delle cose. Abbiamo un desiderio, che è una volontà: essere protagonisti del cambiamento. Siamo animati da una convinzione: la politica siamo noi, la facciamo con la nostra vita  quotidiana, con il nostro interesse.
E se la politica siamo noi, abbiamo tutte le carte in regola per costruire nuovi orizzonti che partano dalla partecipazione, dalle proposte e dalla condivisione. Noi siamo pronti, e lo abbiamo già dimostrato. Quanto ancora i giovani, ma non solo i giovani, dovranno subire le decisioni di una classe politica che non dà le risposte che attendono? E’ tempo di chiudere con i discorsi vuoti, i proclami, gli slogan. Si vuole investire sui giovani, che sono la linfa della politica? Allora il modo di agire, la soluzione, la “formula magica” c’è: i partiti, tutti, investano con convinzione nelle nuove generazioni, valorizzino questo capitale umano preziosissimo, coltivino la sana politica che non ha familiarità con il potere e le poltrone. Solo così si potrà attuare il tanto agognato rinnovamento. Noi crediamo nella reale volontà di Casini di svecchiare, anche e soprattutto nelle idee e nell’approccio alle problematiche, non solo nell’età anagrafica. E poi, chiaramente, il cambiamento non lo può fare solo una parte, c’è bisogno di un’intesa cruciale: di mezzo c’è il futuro, non buttiamo via questa irripetibile occasione.
Che Chianciano 2011 sia ricordata come la festa dei giovani.

Stefano Barbero

giovedì 1 settembre 2011

Rivogliamo il nostro teatro!

C'è il sito di un comitato spontaneo che tiene il conto di questa sciagura (non senza colpevoli): 334 giorni, quasi un anno. Tanto è passato da quando il Teatro Comunale di Alessandria ha dovuto chiudere i battenti per via dell'amianto sprigionatosi in seguito ai lavori di bonifica effettuati dalla ditta Switch 1988 di Genova. Chi passeggia nei giardini non può fare a meno di fermarsi, assalito da molta amarezza, a fissare lo scempio: il teatro cittadino sbarrato, una città capoluogo di provincia priva di un luogo di musica e spettacoli, tutto grazie all'incompetenza degli amministratori e delle maestranze che hanno effettuato i lavori. Scandalosa la cronistoria di questa triste vicenda: l'impresa genovese si era occupata della rimozione dell'amianto allo stato solido che si trovava nei condotti di aerazione del teatro. Nella rimozione l'amianto solido si è sbriciolato e, una volta diventato polvere, si è disperso negli ambienti, rendendo necessaria la chiusura dell'edificio. Ad oggi, dopo circa un anno, l'unico passo in avanti è stato l'accertamento giudiziale delle responsabilità - per questo sette persone, tra cui il presidente dell'Amag, l'ex-municipalizzata di energia e gas, consigliere del Teatro regionale alessandrino, e la presidente dello stesso, sono sotto processo nell'inchiesta avviata dalla procura di Alessandria - ma il processo che interessa davvero ai cittadini, quello di recupero del teatro per la sua riapertura, è tutt'altro che avviato.
Ristagna come ristagna tutta la classe dirigente alessandrina, palesemente incapace di gestire i - pochi - beni che la città può vantare. Ci auguriamo che questa schiatta di imbarazzanti amministratori paghi di fronte a una corte per i gravissimi danni che ha commesso alla collettività, ma che soprattutto abbandoni per sempre i ruoli che ha ricoperto.
I cittadini sono stufi di pagare per la disonestà e l'incompetenza di certi amministratori pubblici. Alessandria deve fare un salto di qualità: ricordiamoci dei loro nomi, e combattiamo perché non siano più presidente di questo o quell'ente. Interdetti, sfiduciati, allontanati: come vogliamo, basta che nulla sia più sotto la loro guida.